"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

14 novembre 2017

Sacerdote irakeno: per cristiani di Mosul va peggio di quando arrivò l’Isis

By Asia News

La situazione dei cristiani “è peggiore rispetto all’arrivo dell’Isis” perché sono “coinvolti in questo scontro in atto fra arabi e curdi, fra sciiti e sunniti”, che “ha ostacolato” il rientro dei profughi a Mosul e nella piana di Ninive e “non vi sono più nemmeno gli aiuti”. È quanto spiega ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya (Kurdistan), secondo cui parte delle famiglie cristiane “è tornata ad Alqosh e Dohuk” per il timore delle violenze nella piana di Ninive. “Altri ancora - prosegue - hanno trascorso due notti in macchina, o rimandato la partenza per il pericolo di nuovi scontri. Vi sono casi di bambini traumatizzati per le violenze avvenute a Teleskof”.
P. Samir, che cura in prima persona 3500 famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi fuggiti dalle loro case nell’estate del 2014 con l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) riferisce che “anche i cristiani cominciano ad avere paura”. Il timore è che vi sia una “reazione dei curdi” con “nuovi attacchi” che finiranno per colpire “anche cristiani e yazidi. “Noi non siamo pro o contro una parte - aggiunge il sacerdote - ma vogliamo vivere in pace con tutti”.
I cristiani sono da sempre uno strumento di dialogo, un ponte fra le varie culture ed etnie che caratterizzano l’Iraq. E sono state proprio personalità cristiane del tempo a ricoprire le prime cariche di ministro della Cultura o della Sanità nella storia recente del Paese. Pur essendo solo il 2/3% della popolazione, la minoranza ha giocato un ruolo essenziale “a livello culturale” ma “si trova sempre più invischiata nei conflitti”.
A testimoniarlo vi è la storia personale della famiglia di p. Samir, che ha dovuto cambiare numerose volte casa, città e regione per sfuggire alle violenze. “Prima in Kurdistan - ricorda il sacerdote - poi la rivoluzione curda per l’indipendenza ci ha spinti a Mosul. Con l’inizio della guerra siamo andati a Baghdad, per fare ritorno a Mosul e ancora nel Kurdistan irakeno, con l’arrivo dell’Isis”. “Dal 2006 a oggi - aggiunge - sono andate distrutte 40 chiese fra Mosul, Baghdad e Bassora; più di 1200 persone sono state uccise per il solo fatto di essere cristiane”.
P. Samir, fra i principali sostenitori della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul", sottolinea che “in Kurdistan i cristiani avevano ricominciato a vivere” e la sconfitta dell’Isis aveva fatto sperare per un rientro a breve nelle terre di origine. “Adesso siamo ripiombati - confessa - in una condizione di paura, a vivere sotto la minaccia. Di fronte a una nuova instabilità, non sapremmo dove andare, cosa fare…”.
Intanto anche i cristiani - risparmiati dal devastante terremoto che ha colpito la regione - “devono affrontare, come gli altri, i problemi economici” che si fanno sempre più pressanti. “Mancano i salari - racconta p. Samir - e vi sono diverse famiglie di profughi che non hanno soldi per comprare i beni essenziali. Fino a qualche tempo fa i mini-market vendevano merce per 2mila dollari al giorno, oggi faticano ad arrivare a 200. Il personale viene licenziato, intere famiglie sono senza lavoro e diventa tutto più difficile”.
“Con i programmi di aiuto avviati - afferma il sacerdote - cerchiamo di contribuire al sostentamento delle famiglie, ma fatichiamo a trovare fondi. Adesso arriva l’inverno, incomincia a fare freddo; lo scorso anno, di questi tempi, avevamo già distribuito due o tre barili di kerosene, quest’anno ancora nulla. Anche la consegna dei cibi è sospesa, non abbiamo più niente”.
Da un certo punto di vista, ammette, “la situazione è peggiore rispetto all’arrivo dell’Isis, perché allora governi e Ong ci hanno aiutato. La chiusura degli aeroporti nel Kurdistan complica la situazione e solo il 30% dei profughi hanno potuto sinora fare ritorno nelle loro case di un tempo”. Anche i salari sono diminuiti, passando dai mille dollari di prima “agli attuali 300” a causa “della stretta imposta da Baghdad sui fondi destinati alla regione curda. E poi ci sono gli affitti, la scuola… la Chiesa - conclude p. Samir - aiuta molti, ma qui serve davvero un miracolo”.